Come ho avuto modo di sottolineare più volte, lo strumento vocale viene pilotato molto spesso esclusivamente dal nostro istinto. Una delle conseguenze disastrose di questo è l’incapacità del cantante di andare “oltre”, rinunciando a studiare il rapporto con il proprio strumento, quasi non ci fosse più nulla da fare. “La mia voce è così, non posso fare meglio”. Questo è un atteggiamento molto diffuso e applicabile in ogni disciplina, ma forse vale la pena sottolineare che se l’istinto “guida” la nostra voce, al tempo stesso noi “passiamo” attraverso di essa, rivelando ciò che siamo in ogni momento, spesso senza filtri. Per fare un esempio, uno stato di stanchezza fisica o di scarsa motivazione, una difficoltà di carattere psicologico, passa subito attraverso la nostra voce. Certo si può provare a fingere, dissimulare… ma questa è un’altra cosa. Se io “non sto bene” la mia voce lo rivela. E‘ normale che sia così, siamo fatti così… per certi versi è anche un aspetto positivo, ma è un fenomeno che va compreso, se no ancora una volta chiediamo alla nostra voce delle cose impossibili… Uno stato di “calma ideale”, con le giuste motivazioni non è facile da raggiungere e ognuno percorre a questo riguardo le proprie strade, ma non attribuiamo al nostro strumento responsabilità che non ha.
Quanto è difficile ascoltare… ascoltare davvero! Si sente tanta musica, spesso in sottofondo per avere una sorta di compagnia, ma la si ascolta poco. La musica è indubbiamente un modo per trovare svago, per evadere, ma l’ascolto spesso non è adeguato. Un ascolto di qualità dipende non solo da cosa, ma anche da come ascoltiamo. E proprio su questo secondo aspetto, merita fare una riflessione: la vendita dei cd diminuisce, la musica si scarica più o meno selvaggiamente (senza rendersi neanche più conto che per gli autori questo può essere un danno che alla lunga può rivelarsi irreparabile!) nei formati più diversi e spesso più “leggeri” (mp3) in modo da farne stare di più sullo stesso dispositivo (come se avessimo bisogno davvero di ascoltare migliaia di brani nella stessa giornata o settimana). Più leggeri significa con meno “armonici” e quindi di peggiore qualità, anche se ad un primo veloce ascolto questo sembra essere trascurabile. Le cuffiette poi sono ulteriormente di scarsa qualità e quello che arriva alle orecchie è in certi casi davvero pessimo. Poco alla volta però ci si abitua… e non deve meravigliare quindi che le suonerie vengano ascoltate più dei cd. La fruizione della musica ed il benessere che ne consegue, non è solo una questione di melodie, ritmi ed armonie. Le frequenze degli strumenti ben registrati ed altrettanto bene riprodotti, permettono di ricevere una sorta di ulteriore godimento profondo, se ascoltate live o in impianti di buona qualità. Basti pensare che negli esercizi di musicoterapia gli mp3 sono banditi. Ci sarà un perché…
Quando si osserva una chitarra, si individuano immediatamente tutte le parti, dalla cassa al manico, il ponte, la paletta, ecc… Idem per un pianoforte o una batteria. Poi ci si mette “in posizione” e quindi si comincia a suonare. Quando si decide di cantare, spesso non ci si mette nemmeno in posizione eretta… magari seduti con le gambe allungate, appoggiati allo schienale della sedia… figuriamoci riuscire a descrivere lo strumento. Eppure è “nostro” più che mai! Non c’è coscienza della postura, non c’è coscienza degli elementi che costituiscono lo strumento, nemmeno delle parti più evidenti. Nella descrizione dello strumento che richiedo ai nuovi allievi, alcune volte non viene nominata la lingua, spesso nemmeno le labbra, eppure sono le parti più evidenti: a differenza delle corde vocali, queste parti sono visibili e palpabili, eppure…
E’ più forte di noi: quando si parla o si canta si pensa di non fare nulla. Tutto viene dato per scontato, come camminare, mangiare e dormire. Se da un lato questo è comprensibile perché noi usiamo questo strumento dal primo istante della nostra vita in modo istintivo (nasciamo piangendo), quando poi si tratta di cercare di utilizzare davvero al meglio il nostro strumento, allora la coscienza diventa una tappa di partenza fondamentale… a cominciare dalla postura: in piedi, gambe leggermente divaricate, schiena dritta, collo in asse, spalle rilassate… semplice. Il difficile è ricordarsene !
Il canto corale è senza dubbio una pratica molto diffusa e divertente. Spesso in coro è più facile vincere la paura di cantare e quindi anche chi non ambisce a ruoli solistici può trovare nel coro un’opportunità per divertirsi senza “esporsi” troppo. In realtà il coro presenta alcune difficoltà non banali che vanno approcciate nel modo corretto e non soltanto “provandoci”. Non è raro infatti trovare ottimi solisti che fanno fatica a cantare in coro, perché richiede una precisione oltre che un “suono” a cui non sono abituati. L’interpretazione personale infatti può a volte mascherare alcune difficoltà di precisione ritmica e di intonazione. Succede quindi che proprio per questa necessità, il direttore di coro assegni delle parti interne più complesse a cantanti più esperti e le parti soliste a coristi meno capaci. Un’eventuale sbavatura del solista è infatti più accettabile che una nota di background stonata (specie se l’armonia è un po’ elaborata). Quindi i valori in campo in un gruppo vocale o in un coro a volte non sono così evidenti per il pubblico. Per esempio le doti solistiche dei componenti di uno dei gruppi vocali più famosi a livello mondiale i Manhattan Transfer, Janis Siegel a parte, sono direi più che “normali”… eppure a livello di gruppo vocale hanno raccolto tutto il successo che effettivamente meritano. E allora… spazio ai coristi !
Di solito ci sono due tipi di aspiranti cantanti.
- Quelli che riescono già a fare cose più che egregie attraverso l’imitazione… pur senza tecnica razionalizzata, sono in grado di cantare “bene”… Questi costituiscono la maggioranza.
- Quelli che sono affascinati dalla voce, che vorrebbero cantare, perché cantare è bello, liberatorio, salutare, ecc… Questi di solito sono pochi o meglio sono pochi quelli che decidono di intraprendere un percorso didattico, non avendo ben chiare le loro attitudini canore, ma volendo “provare”.
Sarebbe come dire che uno decidesse di studiare la chitarra solo se, prendendola in mano per la prima volta, mettendo le mani a caso, uscisse qualcosa di “sensato”, cioè “musica”. E’ evidente che questo non può succedere con qualsiasi strumento … e perché lo strumento voce dovrebbe fare eccezione?
Certo, l’istinto può fare molto di più sulla voce che non sul piano o su una chitarra (almeno in un primo approccio), ma questa è una condizione mentale che si rivela puntualmente una fregatura. Le strade sono due: o si decide di fare da sé… e allora tutto è accettabile (anche eventuali limiti), o si decide di andare a scuola. In questo caso allora la prima cosa da fare, al di là del metodo, è prendere davvero coscienza dello strumento. Questo richiede una grande costante attenzione…
… per sempre !!!
Spesso si vuole cantare il proprio brano preferito nella tonalità “originale”… soprattutto poi se ci sono note particolarmente acute e quindi “difficili”. Ma questo sarebbe un po’ come scegliere il modello di un abito e volerlo indossare a tutti i costi nella taglia di chi lo indossa già… se no l’abito è meno bello. Fatte salve alcune considerazioni di fondo, in particolare se si suona accompagnati non da una base, ma da musicisti veri, si deve certamente tenere conto delle loro esigenze tecniche. Per questo motivo a volte adattare la tonalità di un semitono, può essere ragionevole… ma rimane il fatto che non è vergognoso cantare un brano in una tonalità anche molto diversa. Nonostante certe abitudini di pensiero molto “popolari”, non “vince” chi canta più in alto. La composizione è come un vestito… lo si può indossare in tanti modi ed in tutte le stagioni ! Per esempio le tonalità delle versioni proposte di “Cry Me a River” sono tutte diverse e vi posso assicurare che la scelta è stata da questo punto di vista assolutamente casuale! Per curiosità ho riportato le tonalità a fianco dei singoli interpreti… la presunta partitura originale (dal Real Book) è Cm … ma nessuno la canta in quella tonalità ! 🙂
Parlare, prima ancora di cantare, è una pratica istintiva. Impariamo un linguaggio per imitazione e spesso quando parliamo ci sembra di “non fare nulla”, tanto è scontato poterlo fare. Salvo poi scoprire che in determinate circostanze sentiamo la voce affaticata, ma non sappiamo bene perché, né sappiamo cosa fare. Un primo approccio un po’ più consapevole allo strumento potrebbe essere quello di provare a pensarlo nelle sue diverse parti anatomiche… dal basso verso l’alto. Dove comincia e dove finisce lo strumento? Cosa fa parte realmente dello strumento? Dal punto di vista prettamente meccanico, quali sono le parti del nostro corpo che permettono al suono di essere generato e messo in risonanza? Dov’è la laringe ? Cos’è? Quali sono le sue funzioni ? Il problema è che molte di queste “parti” non sono visibili, ma spesso nell’elenco mancano anche le parti visibili e palpabili… sintomo evidente di scarsa consapevolezza.
Cantare è da sempre una pratica istintiva… noi emettiamo suoni in modo spontaneo e naturale, ma nessuno ci ha mai detto come fare. Anche chi intraprende un percorso di studio spesso non si rende abbastanza conto che lo strumento va percepito, perché è uno strumento “fantasma”… A nessuno verrebbe mai in mente di suonare uno strumento che non solo non si vede, ma addirittura non si può toccare… Eppure a tutti piace cantare e tutti in qualche modo ci provano… per imitazione. La percezione dello strumento diventa un passaggio fondamentale ed inevitabile per riuscire a controllarlo in modo più preciso e consapevole.